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DELL' INFINITO

METAFISICAMENTE E MATEMATICAMENTE CONSIDERATO

MEMORIA

DELL'AB. FRANCESCO MARIA CAV. FRANCESCHINIS

PROFESSORE DI MATEMATICA APPLICATA E GEODESIA

NELL' I. R. UNIVERSITÀ DI PADOVA

MEMBRO ONORARIO.

Il soggetto della presente memoria quanto, illustri socii, è per sè stesso gra

sia

ve ed importante, altrettanto, come suole avvenire di tutto ciò che grandemente ne interessa, arduo si è, e malagevole a trattarsi. Diffatti qual umano, pur quanto si voglia peregrino, ingegno potrà degnamente e adequatamente parlare dell'infinito; il quale altronde sì strettamente legato si mostra con l' origine e col progresso delle nostre idee, e con la natura delle nostre affezioni? Poichè la umana mente non può nelle sue indagini restarsi, se non giunga al concetto di un essere sapientissimo infinito, che sia l'autore di ogni cosa; e il cuor nostro vagando con l'affetto per tutti i creati oggetti sente, che niuno di essi può soddisfare pienamente l'innato desiderio di felicità, il quale perciò argomentasi essere obbiettivamente infinito. Che se la importanza di formarsi dell'infinito un giusto concetto operò, che i più chiari ingegni lungamente sopra di esso meditassero, la indicata difficoltà di ben afferrarne la essenza, e dichiararne la proprietà di esso, fece che quelli in varie sentenze sopra alcuni punti si dividessero, e non abbastanza esattamente sopra molti altri si spiegassero; talchè puossi sicuramente affermare, che non sarebbe perduta opera il tentare di rischiararne maggiormente non solo la idea principale, ma tutte quelle che in qualche modo le sono affini, e sembrano partecipare dell' esser suo. Ora siffatto tentativo da me fatto sarà il soggetto della presente memoria, e di altra che a questa succederà ; le quali al vostro giudizio sottoposte aspetteranno tranquillamente da esso di sapere, se io mi dovrò in qualche pregio averle, o se dovrò alla dimenticanza condannarle .

E perchè nulla lasci in tale argomento a desiderare; cioè perchè il consideri in tutti gli aspetti, discorrerò di esso e come piace ai metafisici, e come usano

i matematici. Ed acciocchè le nozioni, che io m'ingegnerò di ben determinare, abbiano dalle applicazioni nuova dilucidazione e conferma farommi con la scorta di esse ad esaminare due opere, l'una delle quali è intitolata : Dell infinito creato, titolo che porta con sè la sua confutazione, come vedremo ; l' al¿ tra: Del calcolo delle probabilità, diretta, a quel che sembra, a mostrare la possibilità dell'attual ordine dell' universo indipendentemente da una sapienza ordinatrice opera non meno dell' altra portante in fronte il carattere dell' assur

dità. Le quali opere dalle penne uscirono (chi il crederebbe?) di due profon

dissimi pensatori, ma dettate, come vedrassi, da un animo intieramente tra loro opposto.

Comunemente chiamasi infinito quello, in cui non si veggono, ossia non si concepiscono limiti. Ma basta egli a definire l' infinito il dire che nel concetto di esso non entran limiti? O non conviene inoltre che la idea che lo rappresenti ne offra la esclusione reale di ogni qualsiasi limitazione? Il non vedere, o il non conoscer limiti nel concepimento di qualsivoglia cosa vuol egli dire ch'essa non ne abbia, o non ne possa avere? Se uno che non sapesse la terra nostra aver confini, dove camminasse per essa lunghi e lunghi anni nella stessa direzione senza vederne il fine, dedurrebbe egli perciò con sano giudizio esser ella infinita? Ma se in qualche oggetto presente all' animo vedesse uno chiaramente, che la natura di esso esclude necessariamente ogni limite, potrebbe egli star dubbioso che tale oggetto non fosse veramente infinito? E questa reale esclusione di ogni limite chiaramente concepita non sarà ella una idea positiva? E non sarà quindi diversa da quella formata con la successiva rimozione dei limiti, la quale non inchiude mai la esclusione reale e necessaria di ogni limite? Perciò se la idea formatasi a quel modo vorrassi chiamar la idea dell'infinito negativa, non sarà per altro mai la vera idea dell'infinito stesso.

Che se negasi aver noi la idea dell'infinito positiva, perchè egli è impossibile che una mente finita comprenda l' infinito, ciò altro non mostra se non che confondesi la idea di un oggetto con la comprensione di esso; le quali due cose sono tra loro molto diverse: poichè la comprensione importa, che la percezione, o la idea della mente si coestenda in certo modo a tutta l' ampiezza del sogget to, dove la idea chiara e distinta di esso non consiste in altro, che nell'intendere, e nel rappresentare la idea, che ne costituisce la essenza.

Ma rifugge ora la maggior parte de' filosofi dal convenire, che la idea dell'infinito sia in noi una idea positiva, perchè sentono essi, che non potrebbero derivarla nè dai sensi, nè dalla riflessione al modo aristotelico, o lokiano, e molto meno secondo il sistema, che stabilisce ogni maniera d'idee, non essere che una sensazione trasformata. Ma di ciò non è ora mio intendimento di favellare.

Stabilito pertanto, che la idea dell'infinito assoluto inchiude necessariamente la reale e positiva esclusione di ogni limite, resta subito dimostrato, che l' infinito assoluto non può aversi che nella pienezza dell'essere; cioè che non è altro che l'essere universale, ossia l'essere senza restrizione: onde Dio, che è appunto questo essere infinito, ben definì sè medesimo, quando da Mosè interrogato chi egli si fosse, rispose senz' altro, Ego sum qui sum: Io sono quegli che sono, cioè l'essere senza limitazione veruna. Quindi saranno espressioni improprie per designar cosa che sia assolutamente infinita il dire che è infinita nel suo genere, o nella sua specie: poichè chi dice un genere o una specie dice manifestamente un limite, lo che distrugge la idea dell' infinito assoluto.

Ma prima d'inoltrare nella considerazione dell' infinito secondo la fissata nozione, cioè che non sia che l'essere senza restrizione, gioverà esporre quello che di altre idee convien dire, che hanno con esso, o sembrano avere molta affinità. E prima diremo delle idee universali, le quali ne conducono all'idea dell' indefinito e dell' indeterminato.

pro

Pensano non pochi metafisici, che noi considerando in molte idee singolari quello ch' esse hanno di comune, prescindendo da quello ch'esse hanno di prio, ci formiamo le idee universali. Così dove in un pioppo, in un frassino, in un lauro, od anche in un' erba, in un fiore io non consideri che ciò che trovasi aver luogo allo stesso tempo in ciascuno di quegli oggetti mi formo la idea uniuomo, che versale del vegetabile. Lo stesso dicasi dell' idea universale dell' in me si desta dal considerare in Tizio, in Cajo, in Cesare, in Antonio, quello che veggo appartenere a ciascuno, cioè l' animalità unita alla razionalità.

Altri poi dei metafisici e de' più gravi, cominciando da Platone, cui seguitò con molti altri sant'Agostino e sant' Anselmo, metafisici sommi, indi Cartesio, Malebranchio, e non pochi altri de' più solenni tra' moderni, hanno pensato che le idee universali e le essenze delle cose sussistessero non solo negli animi nostri in quanto da noi si concepissero; ma fuori anche di noi, e prima che si concepissero, nè fossero ristrette da luogo, nè da tempo; « alle quali, come dice il Zanotti (Filos. mor. parte I, c. 5), rivolgiamo l'animo per un avviso che ne pare di » danno gli oggetti singolari, secondo che a noi si presentano, onde ci

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trarle e di pigliarle da essi; ma le abbiamo d'altronde ». Comunque poi in noi si trovino queste idee universali sembrami doversi di esse stabilire due cose. La prima, che non sono altrimenti una confusa percezione di molti particolari, come volevano Spinoza ed Obbesio, ed in seguito anche Wolfio, e molti altri, senza forse avvedersi della malizia di quei due primi, che dietro siffatto pensamento volevano escludere dalla intelligenza divina le idee universali, e quindi le idee archetipe ; appunto perchè fondate, secondo la loro definizione,

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