in mio nome, lo invio a lei, che assicurailo accoppiare alla dolcezza e grazia de modi amore delle bell' arti ed eccellenza nel trattare il disegno. Accolse la offerta con l' ingenuo sorriso che gli esce dal labbro quandunque gli si propone cosa che siagli cara; ed eccoglielo ossequioso con queste mie poche righe che parleranno di lui. Non dico di sua compostezza, di sua modestia e di sua indole che può aurea chiamarsi senza timore di errare: ma soltanto vo' ricordare le opere che ha condotte; adempiendo così la mia promessa che talvolta le avrei dafo qualche notizia di cose di bell' arti. Mi sta ancora in memoria il tempo che il Rinaldi venné da codesta città che gli è patria, a studio nella nostra Accademia ciò fu l'anno 1810, sedicesimo dell'età di lui. Egli non era digiuno delle cose delle bell' arti: figliuolo ch'è del vivente onorato intagliatore Domenico Rinaldi. Da due anni avanti, maestra a lui natura, sempre però la maestra prima, aveva condotta al vero in pietra, nel Santuario di Arcelli, la statua di santo Antonio di Padova ! Certo che n'è ammirabile il sentimento e che tutto vi si trova in istile: vi manca però la pratica della esecuzione pratica che non si acquista che con lo studio. Presto per altro si rendette padrone di ciò che nella scienza dell'arte gli mancava alle lezioni de' professori Pizzi e Matteini de' quali il primo venue immaturo tolto dalla morte all onore dell'arte della scultura, e l'altro vive prosperoso al decoro della pittura e al vantaggio de' discepoli. Non correva che il sesto mese che il giovane Rinaldi applicava allo studio in questa Accademia, ed egli già con nuovo esempio, aveva ottenute tre medaglie di premio, alle quali appresso aggiunse le due del disegno e del nudo, e finalmente il premio che si nominava dell' Alunnato di Roma: E' gettare tempo e parole dicendo del vantaggio che da a grandi progressi quell'antica regina del mondo, e signora delle arti; ma è buono osservare che Rinaldi ci andò quando vi era principe degli artefici Canova, che amava vigilare if buon andamento de' nostri giovani, tra' quali in ispezieltà accarezzava il Rinaldi Nel secondo mese che questi era giunto colà, ottenne, a fronte di tanti giovani rivali, premio nell' accadeinia che Canova generosamente sosteneavi in tanti modi, pel modello di un Atleta vincitore: nella quale circostanza non so se Rinaldi più godesse di se o dell'amico Hayez e il che pure riportò il premio, dipingendo altro Atleta vincitore. Che se non occorrevano le cose della guerra, Rinaldi e l'Hayez avrebbero forse avuto premio eziandio nel proposto concorso dell'accademia di Napoli, l'uno modellandone il re a cavallo, l'altro rappresentando Teti nell'atto di consegnare Achille al Centauro; giacchè visto che si offersero que' due begl' ingegni nostri, non vi fu colà chi venisse in emula gara con loro, E nell'accademia stessa, ove l'ottenne nella plastica altro premio che non si saprebbe sì facilmente figurare, il nostro Rinaldi poco appresso meritò di conseguire. Egli non aveva mai praticato nè tavolozza nè pennello, quando una sera con l'amico Hayez si condusse a quell'accademia per osservarvi l'esercizio della pittura. Quando vi furono giunti, rivolto Rinaldi al compagno amico, gli dice: oh! come volentieri anche io applicherei a quell'esercizio. E ad applicarvi inanimato, nel compimento de' consueti sperimenti ottenne il prémio; lasciandosi addietro ogni altro, tra cui alcuno che da più anni, non senza frutto, cì studiava, Intanto desideroso Rinaldi che il cav. Cicognara, il quale sempre lo amò e protesse, e che quegli chiama con il dol ce nome di secondo padre, vedesse qualche pruova del suo avanzamento nella scultura, gli mandò un busto di PalJade, in marmio, però traendolo dall'antico il che praticando, mostrava conoscere che il primo studio dee farsi ne vecchi maestri, e che stolta è la fretta di operare di proprio concepimento. E benchè lontano dalla patria, questa sempre rammentando, la quale gli fu madre benefica, godette assai quando Canova gli diede a scolpire l' Erma di Andrea Mantegna, pittore, e incisore di quel merito ch'ella sà: il quale Erma ora si vede nel Museo del Campidoglio. Per questa nostra accademia, di cui parla teneramente, condusse, in plastica, e il modello di Milone attaccato al tronco, e il basso-rilievo che offre la partenza di Ettore da Andromaca, e, in marmo, il busto del principe della nostra scuola pittorica. E quando le belle arti offersero omaggio al nostro Imperatore nel suo ultimo connubio, l'accademia die' al Rinaldi da eseguire il gruppo di Chirone, maestro di Achille nel suono della lira. Alle quali opere che compiè chiamato dal dovere e dalla gratitudine, quelle si aggiungeranno che gli affidarono privati uomini, mossi dalla fama che andò intorno del suo valore. 7 Al marchese Mandelli di Brescia fece il busto, più gran de del vero, del ch. mons. Mai: due busti, similmente più grandi del vero, del generale Pac di Polonia, e di sua moglie: Apollo e Pallade, due busti, per codesto cav. Pappafava Cerere e una Baccante, due busti pel duca di Devonshire. Già le è notissimo il busto del Petrarca, che per codesto Duomo gli diede da condurre il soave splendido nostro amico mons. Soncini: nel quale busto, lavorato con tutto l'amore dell' arte, viene offerto quel sommo lirico in atto di mostrarsi e tutto assorto nella poesia e beato della vita. E questo busto ricordato, possiamo tacere quello di Pio VII., che ne ha codesto seminario. 4 Nel cimitero di Ferrara è opera del Rinaldi il deposito del co. Varano. La Virtù e il Genio vi stanno dolenti sulle ceneri dell'illustre defunto. Il componimento n'è bene appropriato, semplice nel pensiero, e travagliato in ogni sua parte con molto studio, Nella chiesa de' Lucchesi in Roma stà il monumento ch' egli vi fece del cardinale Bottini. E' un cippo antico colla figura della Costanza (basso-rilievo), simbolo della virtù, onde il porporato brillò in tempi per la chiesa calamitosissimi. Nè può esserle uscito dalla mente il bassorilievo che ne vedemmo costì nel grandioso palazzo de' conti Pappafava, dove si è incerto se più si debbano ammirare gli oggetti preziosi, ond' è fornito, o le virtù dell'uno e dell' altro de' suoi signori. Traendovi dal Tebro una sposa, a cui non vi è pregio che manchi, vollero essi che agl' illustri artefici de' tempi andati, di cui tengono belle opere, si unissero eziandio i più illustri che vivono fra noi a farle corte con opere di loro arte; sicchè ne adornassero le nuziali stanze il Demin, fra' pittori, con suoi mirabili affreschi, e Zandomeneghi, Ferrari, e Rinaldi fra gli scultori. A questo toccò condurre Penelope nell'atto di comandare al cantore Femio che taccia, quando passava alle lodi del consorte. Tra' proci sta Femio seduto, al quale Penelope, già in piedi, accompagnata dalle sue ninfe, fa cenno con la mano che sospenda il canto; tentando frattanto Telemaco di rimuovernela, quasi le dica che non dee trattenersi ad udirvi cosa che le spiace. Il componimento è condotto nei modi dell'arte ed eseguito dietro lo studio del vero: la prospettiva, sullo stile antico, mantiene le altezze in quell'equilibrio, onde l'occhio be ve tanto piacere. Ma due nuovi lavori del Rinaldi attendono di venire ad accrescere gli ornamenti di codesta città, ed anzi pre sentemente stanno presti, per volontà del loro atitore, ad essere multiplicati con la incisione. E' il primo un gruppo, grande al vero, commesso al nostro artefice da Guasparre Pacchierotti, Orfeo che fu della nostra età. Cefalo e Procri n'è il subbietto. Rinaldi rappresentò Cefalo allora che facendo di salvare Procri, le tiene chiusa con la mano la ferita, spirandogli colei intanto fra le braccia e riguardandolo così che pare gli dica: sia venía á te dello commesso errore. A Procri sta presso Amore, il quale tenendo spenta la face, sembra partirne con lei. Il carattere è gentile in Cefalo, amabile in Protri, e le forme convenienti alla tenerezza dell' argomento! Ed è da lodarsene assai l'aggruppamento, giacchè il gruppo, in ogni parte che l'osservi, sempre seconda l'occhio favorevolmente. L'altra opera, che diceva, sono due Angioli, di piedi undici romani o circa, pel magnifico altare di codesta chiesa del Carmine. Di quelli uno sosterrà la immagine di Maria Vergine, ed è di carattere più grave; l'altro, d' in dole più gentile, ne la mostrerà. Nel quale lavoro l'ar tefice ha superato grande difficoltà che non so fosse vinta da alcuno degli stessi scultori del secolo XVI: che il vestimento non si distende nè si avvolge anche là ove le ali si attaccano alle scapole, le quali invece libere vi si osservano e sono que' due Angeli sì maestrevolmente aggruppati, che riescono all'occhio e solidi ed eleganti. Ma nella aspettazione di questi due lavori, possiamo frattanto godere quello che Rinaldi offerse alla nostra Accademia: il quale se non avesse dovuto dare ad essa per l'obbli go dell'alumnato, ne sarebbe venuta a lui tale mercede da non contarsi fra le comuni. Già ella mi prevenne col pensiero, che dir voglio l'Adone, statua al vero. Questo garzone si sostenta sulla destra gamba, è tra le dita della mano sinistra tiene una freccia preparata per l'arco che porta nell'altra mario, con la quale leggermente si appoggia sopra un tronco. Ha rivolta la faccia quasi ad ndire quella Diva, sì perduta per lui, che preferiało al suo terso cielo. I capelli scendono sciolti per le spalle, come soleano gli antichi presentarlo: e a rendere que' cápelli finissimi non risparmiò fatica di trapano, introdotto a quello scopo in Grecia ne' giorni dello scultore Callimaco. Il torso, di forme gentili, presenta larghe masse; e le ondeggianti linee vi serpeggiano di modo, che la carne ne 1 sembra flessibile e irrorata di vitale umore: le gambe, comechè queste pure di carattere gentile, lasciano impertanto tra impercettibili lineamenti travedere i muscoli delle parti. Le estremità ne sono studiatissime ed espresse in ogui più minuta parte, e non ostante vi si conservano l'unità del carattere e la dolcezza del soggetto. Scultore che non avesse la scienza del Rinaldi, avriane fatto le parti risentite; e pago allora l'occhio del vulgo, sarebbe rimasto con disgusto il puro intelligente. Ne giorni stessi che quest' opera procurava grandi lodi al Rinaldi, gli si applaudeva eziandio per li modelli che il suo scarpello condusse pel deposito che la gratitudine europea qui innalza al Prometeo delle arti nella nostra età. Gli toccò scolpire Leone, stemma della città nostra, e il Genio di quell' arte che Canova ebbe cara fra tutte. Il Leone, messo quasi guardiano alla porta del Monumento, con l'occhio, mezzo lagrimoso, rivolto al vaso che si finge chiudere in se le ceneri dell' estinto Fidia, sta sdraiato così che il suo riposo si riconosce figlio di stanchezza derivata da dolore ; se quantunque in istato di abbandono e di mestizia è però empre il monarca delle fiere. Tiene sotto le zampe il libro del vangelo, che non offende. Il Genio che nell'altra parte della tomba addolorato accompagna la scultura, è in atto di ascendere, strascinandosi dietro gran panno, reca accesa la face, accennando la luce che Canova portò alle arti. Per giovare la composizione, lo scultore rappre sentò il Genio nell'età di anni dodici o circa; età la più difficile da essere colta, per lo stato d'incertezza, in che sono le parti nel loro sviluppo. Gli stessi antichi scultori assai rare volte trattarono questa età. Alle quali opere mentre attendeva con tutto fervore per la onesta emula gara onorata, ond' erano animati que' compagni artefici; egli non lasciò di occuparsi eziandio in altri lavori, secondando i movimenti del suo animo quando amichevoli, quando rispettosi. Modellò il busta del suo maestro il Matteini, e sì al vivo, che ne sembra vederlo e udirlo enfaticamente parlare, e il busto ancora del suo amico Liparini, la cui pittoric' anima vi brilla; e con la purità dell'antico stile condusse in plastica un basso-rilievo, offerente il Salvatore e la Samaritana, del quale fe' dono a questo seminario patriarcale. E condotto da reverenza alla villetta di campo Verardo, renduta famosa dal nome dell'abitatore il mareheṣe Fede rigo Manfredini, ottenuta da questo la invocata grazia di |