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thiasso del nome; se non che il valente oratore ci fa avvertiti,, che avendosi in questo giorno ad onorare un artista, quello si dovesse, che a paraggio degli altri fu più povero d'onori, av vegnacchè forse non meno ricco di meriti; e certo di encomj e di riverenza, per quello che diremo, più degno. So che tarda è quella gloria che vien dopo morte, perchè troppo lontano è il termine che noi dagli estinti divide; se non che l'adulazione finisce coi giorni, e la lode comincia dal sepolcro, anzi più sonora fra' que' silenzj fa sentir la sua voce, e maggior surge dalle ceneri il nome". Per questa legge privilegiarono fin ora gl'ingegni preclari, e godettero in morte le onoranze che vivendo noi ebbero, ma mi sembra che disspensasse al suo tenore solamente a danno dell' uomo di cui a ragionare mi accingo, se dopo molta età da che passò, dura per lui la mala fortuna che perseguivalo in vita; nè trovò degno di lui scrittore che defunto lo commendasse. E forse che questo uffizio egli pur se lo aspetti, forse che ne' giorni ch'egli andava esulando infelice su questa terra, e' si confortasse della ingiustizia della sorte, con la immortalità de' suoi dipinti, e con le lusinghe delle postume glorie" E qui il ch. oratore saluta Sebenico, perchè nacque in essa il pittore di cui ragiona, e ci fa sapere come era d'ignobili parenti e come venne da essi in Venezia condotto ancor garzonetto, all' accatto di miglior vita: e come il poveretto fosse spinto per vivere d'adoperare in lavori i più grossolani, e come avvezzo alla nativa costiera a costumare con gente d'indole scabra e di grette maniere, si diede a dimestichezza co' pittori dozzinali, s'acconciò co muratori, e persino co' falegnami. Quindi ci di

mostra come to Schiavone in quell'arte a cui fu da natura potentemente incitato, studiasse nelle tele del Parmigianino e di Giorgione, ed ivi ritrovasse le imagini di que' pittoreschi concepimenti di che avea il prototipo nel creatore intelletto, é col darsi allo studio de' buoni esemplari, e tra questi, alla scuola del Vecelli e del Sarto, ed alle stampe del Mazzuoli, traesse egli i tocchi del maestro pennello. E qui parla d'un quadro che rappresenta il figliuolo di Gordio, il quale per aver sentenziato nella bravura del canto contro di Apollo, fu punito d'orecchi asinini: poi d'altro che mostra quel dissoluto re degli Assirj, Sardanapalo, quindi di quello in cui v'è atteggiata la virtù che poggiando in cima ad erto monte, tiene in mano i serti con che suole rimunerare i più valorosi : e finalmente descrive il gruppo dipinto della Fortuna con tal leggiadria che non sapremo a cui de' due fra l'oratore e il pittore accordare la palma. Eccolo:

,, Venia ultimo quadro la Fortuna, donna cieca é volubile, in atto di cavar le sorti dall' urna, e si vedeva la rota ov' ella s'appunta, e in vetta a dilettoso monte gran pressa d' uomini. A cui si da❤ vano accette ed ingegni fabbrili, a cui elmi e spade, a cui scettri e diademi; in quello che sur alcuni dormiglioni cadea piova di gemme e d'oro, di titoli e stemmi, e sur altri disfavoriti dalla dea una grandine di ceppi, di capestri, di ferri e di mille altri malanni. Erano in quel numero buffoni, mezzani, assentatori, che le grazie dei signori rubano a posta loro; e questa sozza gentaglia vedevasi simboleggiata da bertuccioni, da bufali ed asini; i quali ghermivansi le schede notate di alcune lettere, che pur cadevano dalle mani di quella donna. Ed io mi penso che in tale poesia il pen

nello del nostro artista avrà, più che nelle altre, fatto il debito suo; anzi parrà strano, che fra tanto mondo di gente non abbia allogato sè, chè meglio conveniasi Andrea dipinto tra i perseguitati della Fortuna, che non Raffaello nella scuola di Atene, o Paolo fra gli apostoli alla cena di Cristo" E qui con sempre continuata delicatezza di frasi, nobiltà d'imagini, e nitidezza di stile prosegue il suo discorso finchè con eloquente apostrofe rivolto all'animosa gioventù di quell' accademia, saggiamente conchiude:

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» Qualunque fortuna, o giovani, v' attenda, ricordavi di non dar mai ricetto in cuor vostro a brutte passioni, se vi cale del decoro dell'arte, e dell'onor della patria, che sì bella v'è tocca in sorte. Vi perseguiterà l'invidia, vi si negherà la mercede, saranno neglette o svilite le divine opere dello scarpello e del pennello; che la razza dei Mummj conquistatori di Corinto non è tuttaffatto spenta, Ma che? Ogni artista è suddito di un regno pacifico, nè straniere o dimestiche turbolenze possono sulla serenità della sua mente. . . . Io v2 incoraggio pertanto, bennati giovani, a nome dell' età venture (belle o triste che sieno) e vi prometto per esse, che quanto la fortuna vi avrà negato di favore, tanto la riconoscente posterità aggiugnerà di merito alle opere vostre ".

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Così finisce la lodata orazione: ma crederemo anche mancare all' uffizio nostro in tralasciando di riportare alcune sentenze di ch'è qua e là seminata. Io so che per ordinario dal seno della plebe disprezzata esce il decoro delle scuole, e l'ornamento delle accademie: ma la benevoglienza, la politica, o più spesso l'ambizione, ajuta l'opera della natura, sì che vana od imperfetta non torMa nelle buone arti chi non è in-.

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ventore non è grande, chi non tocca il sommo cade nell'imo, e la pittura è obbligata a fare inarcar le ciglia, come stà scritto della poesia ".... ,, Forse che visso (lo Schiavone) in altri tempi, le buone arti avrebbono perduto un sommo pittore, e il mondo guadagnato non altro che un tristo seguace d'Euclide, o un più magro legista ". Pur troppo! ripetiam noi;,, Volgono certi tempi in cui l'infelice trova di che consolarsi, o almen che sia di non dolersi de' proprj, su l'esempio de' mali altrui chè spesso non tanto martiria l'animo la sventura, quanto esser solo in sofferirla «ec. ec.

Ma soprattutto la franchezza, ma magnanima franchezza, cui nello ostacolo arresta, e, per così dire, la liberalità d'uno stile maestro e padrone fa prova del chiaro ingegno del nostro Pezzoli. Ch' ei, trasandate le scolastiche cerimonie, o caricature, con che sogliono i più nelle agunanze accademiche adempiere il difetto della locuzione coll' abbondanza dell' adulazione, paladino magnanimo ei procede col ferro in pugno alla lizza senza guardarsi tampoco, se altri più riccamente bardato si stią da imminente palco, spettatore al torneo. Ed è in ciò, che noi, se abbiamo tributate le lodi, meriLate al suo sapere da un canto, ne vogliamo riserbare altrettante a questo suo modo di azione e di pensare, perchè ei certo mostra non essere nel numero (e abbondevolissimo numero) di coloro, che (ci serviremo delle sue stesse parole) son usi a dir male delle cose e degli uomini, e a vendere per molta lode il silenzio. E la veneta accademia, doviziosissima di preziosi monumenti, che surti in Italia, sono all'Italia, fiorirà vieppiù nel decoro di quell' arti che crebbero sotto il bellissimo sole d'Italia, Y. Z.

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BRANO DI LETTERA DEL DOTTORE PIER-ALESSANDRŐ PARAVIA ALL'ILLUSTRE SIG. CO. LIONARDO TRISSINO.

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Io mi vo ora leggendo i dialoghi del nostro P. Cesari sopra le bellezze della divina commedia; e veramente mi pajono eccellente cosa, si perché adempiono egregiamente al loro ufficio, che è quello di metterci ben dentro nelle più riposte bellezze di quel poema, e sì perchè fioriti sono de' più scelti modi della lingua, e delle più care eleganze dello stile; sì che se in leggendo Dante s'impara a fare de' buoni versi, in leggendo il suo nuovo commentatore s'impara a far della buona prosa, della quale, più che de' versi, è stata sempre, ed è tuttavia penuria grandissima in Italia. Oltre di che mi pare assai da lodarsi il P. Cesari per questa sua nuova forma d'illustrar Dante e il suo poema, ciò è per via di dialoghi, i quali fanno luogo a certi trapassi, digressioni e riposi, che tengono maravigliosamente eccitato l' intelletto, senza indurgli ne stanchezza nè noja; il che non può altramente dirsi delle note, poste a pie' della faccia o del canto, le quali disviando ad ogni pie” sospinto la mente del leggitore, in sin che s'ingegnano di esplicargli il concetto del poeta, questo gli arriva cosi spogliato d' ogni sua forza e colore, che è il medesimo come se gli fosse stato sempre chiuso ed oscuro. E però vediamo che gli antichi sapienti questo spiegar le cose per dialogo assai costumavano; e veramente e' par di trovarsi come in un cerchiolino di amici, dove l'uno spone la sua sentenza, l'altro similmente la sua, e chi ne dice una e chi un'altra; e per siffatto modo nella opposizione e nel conflitto de' giudizj via più si affina l'ingegno, e netto e limpido n'esce quel

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