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per ignoranza, prevenzione, ed invidia fallaci e pessime

descrizioni.

. Eccovi, pregiatissimo sig. conte, ciò che ho saputo gettar sulla carta dietro l'invito vostro diretto a compiacere l'amico. Ho fatto questo zibaldone subito e presto; altrimenti non avrei fatto nulla. Ma se credete, che tale qual è, sia indegno d'essergli presentato, distruggetelo senza più, che a me poco importa. Bastami di avervi ob bedito come poteva. Ve lo spedisco al vostro bel castello di Trissino, dove avrei voluto poter io stesso portarlovi per godere qualche giorno con voi le delizie di si beata signorile ospizio, che domina le fertilissime sottoposte campagne ricche, e, più di qualunque altro fecondo sito abbondanti di messi, e pascoli, e vigne. Caro soggiorno! che su quello spalto tutto a lungo sublime, ed isolato, in mezzo ai fiori, ed agli aurei pomi dell' Esperidi offrendo allo sguardo attonito un orizzonte interminabile sulla pin➡ gue Trissinea valle, sembra far pompa, quasi direi, d'innocua sovranità. Godetevi, caro Leonardo, che ne avete ragione, i preziosi, e gratissimi piaceri di cotesti vostri antichissimi possedimenti, e conservateli, ed abbelliteli, come fate; e non cessate d' amarmi, come io vi amo, stimo cordialissimamente.

Vicenza li 5 settembre 1824.

CARTAS FAMILIARES DEL ABATE D. JUAN ANDRES Á SỰ HERMANO D. CARLOS ANDRES - Madrid MDCCXC. Tomo III. pag. 275.

TRADUZIONE DELLA LETTERA NONA DATA DA MANTOVA LI 8 GENNAIO 1789, NELLA PARTE CHE RIGUARDA VICENZA.

Fra questi pensieri arrivai a Vicenza, distante da Padova 20 miglia, o poco più di 6 leghe. Andai tosto a visitare il sig. co. Ottaviano Porto, il solo che io là conoscessi personalmente: però non ritrovandolo a casa, osservai la magnifica fabbrica del suo palazzo, e passai a e passai a casa del sig. co. Arnaldo Arnaldi Tornieri, cav. studioso e dotto aut. di una traduzione della Eneide in ottave, ch'egli

dedicò a' suoi quattro figliuoli, i cui ritratti insieme con quello del padre ci si presentano nel frontespizio, il che tutto prova bastantemente il paterno affetto, e la bontà del cuore di quel dotto cav. Connobbi immantinente, ch' io entrava in casa di un letterato, vedendo varie lapidi, ed altri monumenti di antichità, gli uni incastrati nel muro, ed altri ancora giacenti per terra, che si conoscevano trasportati colà di recente; e passando più innanzi lo incontrai in una sala, ch'era un Museo di storia naturale. Egli mi disse che tanto questo, quanto il lapidario era una collezione dovuta alle sne diligenze, che quante antichità s'incontravano in que' contorni, che per sciagura sono poche, procurava di raccoglierle, acciocchè non si perdessero, o non s'impiegassero in altri tusi; e che il gabinetto di storia naturale comprendeva soltanto le produzioni del territorio vicentino notabili per qualche rarità. Egli si trovava indisposto da alcuni giorni, e provammo il mutuo rammarico di non poter stare in compagnia le poche ore, ch'io colà mi tratenni; però mi fece il favore di concedermi il suo cocchio, e di fare, che due de' suoi figli mi mostrassero tutto il buono, e mi conducessero dove mi piacesse. Il mio primo desiderio fu di andare all'ospitale, per vedere il P. Giambattista da s Martino capuccino, che destinato ad assistere gl'infermi dell' ospitale impiega i momenti d'ozio in utili studi, ed ha formato delle lenti particolari, che ingrandiscono molto gli oggetti, ed ha fatto con esse delle osservazioni microscopiche, del che tutto da ragguaglio in un libro composto a questo fine il dott. Lupieri medico dello spedale, e degno amico del P. Giambattista; ed oltre ciò ha pubblicato varie scoperte in materia di ottica, e storia naturale, che lo hanno fatto conoscere in tutta l'Italia. Sentendo però, che il detto P. era assente dalla città, e che lo spedale era lontano di là, e da tutti i luoghi, dov'è qualche cosa degna d'esser veduta, abbandonai il pensiero di andare da lui, e mi posi nelle mani delle mie nobili guide, acciò mi conducessero dove fosse loro a grado.

Tutte le città d'Italia hanno qualche particolarità, che le rende osservabili; Vicenza patria del Palladio si distingue singolarmente per l'architettura; e l'eccellenti fabbriche di quel sublime maestro che si veggono in ogni parte richiamano l'attenzione de' forestieri. La casa detta del Palladio ridotta, e piccola bensì, ma che ha all' infuori una buona facciata, e che nell'interno è piena di

comodità, e di luoghi bene annicchiati, fu la nostra prima visita tributo debito al grande architetto, le cui fabbriche occuparci dovevano tutto il giorno. La più famosa opera del Palladio, e quella che eccita maggiormente la curiosità, è il Teatro olimpico, così chiamato per servire all' Accademia degli olimpici. Il gusto, e la passione per l'antichità, che dominò in tutto il secolo XVI., fece che il Palladio pensasse di erigere alla sua accademia un teatro secondo la forma degli antichi, e quantunque l'angustia, e le circostanze del luogo l'obbligassero a staccarsi in alcune cose delle regole di Vitruvio, lasciò nulladimeno un teatro, che può, e deve chiamarsi di gusto artico. Io aveva veduto alcuni avanzi di teatri antichi, ed aveva letto ciò che ne dice Vitruvio, però in veruna parte non mi feci una idea megliore della loro forma, e costruzione, che alla vista del teatro olimpico di Vicenza, e ciò mi rese sommamente aggradevole il vedere quel teatro. Esso non è formato da un semicircolo o da un circolo ripartito mediante quattro triangoli alla romana, o mediante tre quadrati alla greca: la sua figura è una elisse, o una ovale, della quale divisa per metà lungo l'asse maggiore, l'una parte serve per tutto ciò, che forma la scena, e l'altra pe' sedili degli spettatori. Questa forma, benchè differente dall' antica si romana, che greca, la quale venne suggerita al Palladio dalle circostanze del luogo, produce certamente un molto buon effetto, conciliando il comodo di collocarvisi molte persone, e di udire facilmente ciocchè si dice nella scena, e presentando nello stesso tempo un vago punto di vista. Alcuni vogliono ritrovare nella forma di questo tea~ tro la somiglianza sua cogli antichi; però coloro, che così pensano, posseggono assai poche cognizioni su tali teatri. Vedesi colà l'orchestra, la quale rimane in un piano inferiore da cinque piedi al proscenio, e da sette agli ordini delle panche; ed occupa lo spazio, che v' ha fra il proscenio, e la gradinata, ossia gli ordini delle panche degli uditori. Questi ordini sono da 12 a 13, ed avendo il primo 80 passi di estensione, gli altri vanno a proporzione crescendo, di sorte che l'ultimo n' ha più di cento; e puoi figurarti quante persone possano in quelli sedersi. Non v'ha precinzioni, non v' ha cunei, non vomitorii, perchè nulla di ciò sopportano le circostanze presenti, nè la difalta del luogo. Per le stesse cagioni non v' ha scale nella gradinata come negli antichi, ve n'ha però due magnis

fiche, che conducono al portico. Questo è grandioso con intercolonnj si vaghi, che difficilmente se ne troveranno gli eguali; alcuni d'essi son chiusi, ed adornati con istatue. In questo portico entrava la gente plebea, come in que' de' romani; locchè potrai vedere nella descrizione, che il decano Marti fa di quello di Sagunto. Dove però io avrei molto a descrivere è nell'altra parte della elisse che appartiene alla scena. Vedesi quivi il proscenio col pulpito quivi la scena, ch'è cosa maravigliosa, così per la sua facciata piena di ornamenti, di stucchi e pitture, come per tutto l'interno, che contiene tante aperture, tanto belli sfondati, tanto magnifiche prospettive. Veggonsi quivi le tre differenti uscite, della porta, che gli antichi chiamavano regia, ch'è quella del mezzo, e dell' altre due ai lati, alle quali davano il nome di ospitali, perchè da esse venivano gli ospiti, e forestieri, ed i personaggi subalterni: veggonsi parimenti le altre due uscite, che Vitruvio chiama itinera versurarum, e ch'io non so come chiamarle. Tutto ciò puoi vedere nella traduzione di Vitruvio del nostro Ortiz, che forse darà qualche illustrazione a tutto quello, che dice questo antico maestro di architettura sopra la costruzione de' teatri. Veggonsi altresì nell' olimpico alcuni avvanzi delle macchine, ed ordigni, li quali col tempo hanno sofferto, ed erano quelle, che usarono gli antichi per far discendere qualche Dio, e ch'essi chiamavano tohoyov Teologion, e per formare i raggi, ed i tuoni, le quali dicevano xEVOUTLY cerannoscopion: osservai pure nel piano della scena una cateratta, come si usava in alcuni teatri antichi, per fare ascendere gli Dei infernali. Tutto in somma fu quivi fatto col suo fine, e tutto così ornato, così elegante, e così piacevole, che cagiona sommo diletto alla vista, anche senza veruna mira di erudizione. Che momenti deliziosi son que' che si passano osservando una fabbrica cotanto ingegnosa, che in ristrettissimo spazio presenta luogo per tante cose, e tante persone, ch'è tanto piena di ornamenti senz'aver nulla di pesante, e che palesa alla vista la costituzione degli antichi teatri, e diletta, ed istruisce le persone di gusto, gl'architetti, gli antiquarii! Che piacere non sarà stato per gli accademici del secolo XVI. veder rappresentare in questo teatro l'Edipo, ed altre tragedie! Vicino al teatro olimpico vi ha una sala, che serve per le funzioni ordinarie dell'accademia, e in essa vedesi in qualche modo un Odeo, quale avevano frequentemente Vol. VIII.

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gli antichi presso a' loro teatri. Usciti dal teatro olimpico vedemmo il palazzo Chiericato, opera dello stesso Palladio della maggiore magnificenza; i palazzi Porto, Trissino, Thiene, quello del Capitanio, e parecchi altri, il Salone della giustizia, ed altre fabbriche di bellissimo disegno del medesimo aut. La memoria del Palladio, e la continua vista delle belle, ed ingegnose fabbriche eccita ne' vicentini l'amore per l'archittetura, e la vaghezza di fabbricare. Oggidì è un eccellente architetto il co. Ottone Calderari e sopra i suoi disegni si erigono i grandiosi palazzi de' Loschi, e de' Cordellina, ch'io vidi con molto piacere, ed altri edifizj dentro, e fuori della città. In questa forma passai allegramente la mattina, ed il dopo pranzo un nuovo genere di fabbriche, ed altre vedute mi diedero fuori della città i più gradevoli spettacoli. Cosa più bella, che la rotonda del Capra, come quivi la chiamano, o sia il palazzo suburbano del march. Capra di figura rotonda, non la ho veduta in parte alcuna d'Italia: e questa, ed il teatro olimpico sono forse le più eccellenti fabbriche della moderna archittetura. Quattro belle facciate con colonne, e scale, e grandiosi ornamenti, vaste, ed amenissime vedute, una grande, ed elegantissima sala rotonda con quattro corridoj ornati di colonne, che conducono alle quattro porte, godendosi dal mezzo della sala per tutte le quattro porte vedute bellissime l'una più che l'altra, e coronata con una galleria, o specie di loggia, che unisce somma allegria con molta grandiosità. Ai lati vi sono i luoghi da abitare molti, e grandi con tale varietà di stanze che nessuno sel potrebbe immaginare. Salendo al piano superiore, all'intorno della galleria sonovi moltissime camere decenti, comode, e disobbligate, potendosi albergare colà dodici signori, senz'alcuna dipendenza fra i loro appartamenti. Scendendo al pian terreno trovansi le cucine, e dispense, il tinello, la credenza, come la chiamano, l'abitazione pe' servidori. Non ho mai formato il giusto conto dell'archittettura, se non quando ho vedute quante cose quanto grandiose, quanto magnifiche, quanto disobbligate, quanto eleganti e belle, ed in quanto piccolo spazio ha saputo cavare l'architetto Palladio nel teatro olimpico, e nella rotonda del Capra. Scorrendo que' colli tutto è pieno di case villereccie de' Valmarana, de' Valli, e d'altri; ed appresso si rinviene la Madonna del Monte chiesa e convento de' Padri Serviti, a cui si giunge per lunga linea di portici, che non sono così grandiosi come quelli della

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